Villeggendo: la nostra intervista ad Antonella Viola
Venerdì 23 giugno, in occasione della serata di Villeggendo a Lonigo presso Villa San Fermo, abbiamo avuto l’onore di intervistare l’immunologa Antonella Viola. I temi sono stati molteplici, si è cominciato chiedendo se a Taranto, la sua città natale, sede del complesso metallurgico ex Ilva, che dà occupazione a molte persone ma, allo stesso tempo causa di molteplici tumori, sia possibile coniugare lavoro e salute. La risposta è stata affermativa, poiché le tecnologie ci sono e il loro costo è inferiore a quello delle cure dovute all’inquinamento emesso.
Si è poi discusso del ruolo del docente oggi, che, secondo la dottoressa, deve saper trasmettere la passione e il metodo. Riguardo alla divulgazione scientifica, che le sta molto a cuore, ha affermato che è importante per creare una cultura scientifica nel paese e rendere le persone partecipi di scelte, di processi che le riguardano direttamente; e alla domanda su come trattenere i “cervelli in fuga”, ossia i giovani che vanno a lavorare all’estero, la dottoressa ha risposto che bisognerebbe agire sui salari, che in Italia sono bassi, e sulla mobilità sociale, giudicata ancora insufficiente.
Impossibile poi non parlare di covid, le abbiamo chiesto se il governo abbia sbagliato qualcosa, come affrontare un nuovo evento di tale portata e cosa ha lasciato nella società. La dottoressa si è espressa positivamente sull’operato del governo, che ha compiuto anche degli errori (come tutti gli Stati) che tuttavia sono giustificabili dall’eccezionalità dell’evento, secondo lei con il Covid abbiamo imparato a dare più importanza alla scienza per non rincorrere le emergenze, per affrontarle prima; a livello di società ci ha lasciato un senso di fragilità che deve essere uno stimolo per migliorare, per esempio spingere per un’assistenza a domicilio per la terza età ed ed evitare le RSA, dove il contagio di Covid-19 ha mietuto molte vittime.
L’ultimo libro di Antonella Viola si intitola “Il sesso è (quasi) tutto”, e, in relazione a questo, le abbiamo posto la domanda se sia la società a creare disparità di genere e costringere in alcuni casi persone che non si riconoscono nei generi binari a dover scegliere: la dottoressa ha risposto di sì e la scuola può spiegare come sia naturale che ci siano situazioni non rigidamente binarie, per cui si deve accogliere e non far sentire nessuno escluso.
La conversazione si è conclusa parlando della Fondazione Città della Speranza, nata, come ha detto la professoressa, da persone che hanno avuto un dolore e l’hanno utilizzato per migliorare la vita di altri nelle stesse condizioni.
Antonio Andriolo - classe 4CL